Maria Vergine con la Santa Trinità, santi e donatore

Storia dell’arte

Közép- vagy észak-itáliai mester

Maria Vergine con la Santa Trinità, santi e donatore, olio su tela, 273 x 168 cm, intorno al 1600, Chiesa Francescana di Centro di Pest

La tela d’altare fu donata dalla famiglia Luby alla Chiesa Francescana di Centro di Pest nel 1868. Di questo dono si trovano brevi notizie nell’Inventario della chiesa (Archivio Nazionale Ungherese) e anche nella Cronaca Francescana (Archivio Francescano), storia della chiesa redatta tra il 1854 e il 1884. Tra i membri della famiglia Luby il più noto a quel tempo era Zsigmond Luby, primo notaio e consigliere reale. È probabile che la donazione del quadro fosse legata alla malattia di suo fratello János deceduto quell’anno, dopo lunghe cure, nell’Ospedale di San Rocco appartenente ai Francescani di Pest. Non abbiamo informazioni circa i modi e la data in cui la famiglia Luby era entrata in precedenza in possesso del dipinto.

Risulta invece dalla Cronaca Francescana che nel 1868 il dipinto fu collocato nel coro della chiesa. Un paio di decenni più tardi venne spostato da qui, e trasferito nella soffitta della chiesa. Potrebbe essere questa la ragione per cui il dipinto non viene menzionato in nessun scritto o catalogo a stampa della chiesa. Rimase così dimenticato nella polvere della soffitta, finquando nel 2015 Katalin Görbe, docente del Dipartimento di Restauro dell’Università Ungherese di Belle Arti, nonostante il cattivo stato di conservazione, riconobbe nel dipinto le sue qualità artistiche. E’ stato nel corso del restauro, durato un anno, che è risultato definitivamente evidente che, anche tenendo conto le collezioni museali ungheresi, ecclesiastiche e statali, il dipinto possiede qualità artistiche di rilievo.

Al momento del ritrovamenteo del dipinto, si poteva leggere sul suo retro un nome e un anno: Jacopo Palma 1564. Tuttavia questi dati non erano stati dipinti sulla tela originale, bensì sulla tela di rinforzo, quindi potrebbe essere stati ivi riportati al momento di un precedente restauro. Dopo la ripulitura del dipinto è risultato evidente che il suo maestro non era stato il veneziano Jacopo Palma il Giovane, ma doveva essere stato dipinto nella bottega di un suo contemporaneo del Nord o Centro Italia, il cui stile era influenzato dalla pittura di Federico Barocci o di Aurelio Lomi. In base al disegno delle figure possiamo ritenere che a lavorare sul dipinto fossero stati due o forse tre pittori . La data di realizzazione del dipinto può essere collocata negli anni intorno al 1600, opinione condivisa anche da diversi noti esperti italiani ed ungheresi.

La Maria Vergine è la figura centrale del dipinto, che, seduta sulle nuovole, si volge verso il Cielo con le bracce aperte, come interceditrice. Lei è la madre di Dio assunta al Cielo, che riceve le richieste dei santi rivoltisi a lei: a sinistra è inginocchiato un santo medico, San Pantaleone, vestito di un risplendente cappotto in broccato, foderato di ermellino. E’ lui è che con la mano destra indica alla Maria Vergine il donatore; nella mano sinistra tiene un fodero in pelle rossa, sul quale sono ancora oggi ben visibili le tracce degli strumenti chirurghici.

Orvoszent

Il santo medico, dettaglio della tela d’altare della Chiesa Francescana di Centro di Pest

Veronese Pantaleon

Paolo Veronese: Conversione di San Pantaleone, olio su tela, Chiesa di San Pantalon, Venezia

San Pantaleone (o Pantaleo)

fu medico a Roma nel IV secolo d.c., ed è considerato uno dei quattordici Santi Ausiliatori. La sua raffigurazione è diffusa soprattutto nelle Chiese Orientali, ma ricorre anche nella pittura italiana del XVI secolo, come ad esempio nella tela d’altare di Veronese (1587-88). La successiva notorietà del culto del santo nei secoli 18° e 19° è indicata dal fatto, che il nome di Pantaleone ricorreva più volte tra i nomi dei frati della Chiesa Francescana di Pest.

Il santo medico richiama l’attenzione della Maria Ausiliatrice e della Santa Trinità sul donatore, il quale al momento della realizzazione del quadro apparteneva ancora al mondo mutevole e terreno. Si tratta di un sistema teologico ben preciso e studiato, il cui autore doveva essere evidentemente un consigliere esperto di teologia o una persona di chiesa. Tuttavia a questo contenuto strettamente dogmatico si accompagna un motivo, la cui rappresentazione non ha eguali nella storia della pittura di tele d’altare europea: nel dipinto compare anche una traduzione del XVI secolo del codice di Dioscoride. Questo é il motivo per il quale il significato del dipinto supera ampiamente la tradizionale tematica ecclesiastica propria dell’epoca del Controriforma: il santo medico, mentre si rivolge a Maria Ausiliatrice, attira l’attenzione su di un libro di botanica.

La traduzione di Dioscoride

Sulla pagina destra del libro aperto si vede bene il nome di Dioscorides, medico e botanico greco vissuto nel 1° secolo d.c. I due fiori sotto ad esso sembrano semplici schizzi, nel corso delle ricerche però è venuto presto fuori che sono copie esatte delle orchidee che si trovano in una delle pagine del libro di Dioscoride, pubblicato in più edizioni nel corso di un decennio a partire dal 1560, nella traduzione di Pietro Andrea Mattioli (Siena, 1501 ̶ Trento 1578).

Mattioli portre

Ritratto di Pietro Andrea Mattioli nell’introduzione al suo libro: Nelli sei libridi Pedacio Dioscoride Anazarbeo della Materia medicinale, edito da Vincenzo Valgrisi a Venezia nel 1585, parte 1° (Museo, Biblioteca e Archivio di Storia della Medicina Semmelweis)

Mattioli è stato uno dei medici e naturalisti più noti del XVI secolo. Studiò in diverse università italiane, e dal 1555 visse a Praga quale medico di corte degli Asburgo. Accompagnò anche l’Imperatore Ferdinando I in Ungheria durante la querra contro i turchi. La sua prima traduzione di Dioscoride fu pubblicata in lingua italiana (toscana) a Venezia nel 1544, priva di illustrazioni. Dopo l’edizione italiana uscirono anche edizioni in lingua latina (1554), francese (1561) e tedesca (1563), ampliate ed arricchite di piccole illustrazioni eseguite con la tecnica della silografia e raffiguranti erbe, relizzate in base ai disegni di Giorgio Liberale. Fu nel 1562 che Mattioli fece pubblicare per la prima volta ̶ in lingua ceca (boema) ̶ un volume nel quale l’illustrazione di una pianta occupava l’intera pagina. In lingua latina il volume apparve nel medesimo formato soltanto qualche anno più tardi, nel 1565.

eredeti kódex fotója

Illustrazioni di Orchidee nel volume di Pietro Andrea Mattioli: Nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della Materia medicinale, edito da Vincenzo Valgrisi a Venezia nel 1585, parte 2° (Museo, Biblioteca e Archivio di Storia della Medicina Semmelweis)

A Dioszkoridész kötet, részlet az oltárképről

La traduzione di Dioscoride, particolare della tela d’altare della Chiesa Francescana di Centro di Pest

La data dell’edizione boema, il 1562, è da considerarsi quale terminus post quem per quanto riguarda la tela d’altare della Chiesa Francescana di Pest, in quanto la data di realizzazione del dipinto è sì sconosciuta, ma allo stesso tempo in esso vi appare proprio quella traduzione di Dioscoride a cura del Mattioli, nella quale l'orchidea occupa un’intera pagina. É pertanto ovvio che che il dipinto fu eseguito dopo la pubblicazione del volume in lingua ceca. Anche le illustrazioni in siligrafia dell’edizione ceca del 1562 e poi quella successiva in lingua latina erano stati realizzate in base ai disegni di Giorgio Liberale. Alcuni degli stampi in legno originali allora impiegati esistono tuttora e sono custoditi come rari reperti di storia della stampa soprattutto in collezioni americane, come ad esempio la Folger Shakespeare Library e la Biblioteca Houghton dell’Università Harvard.

eredeti kódex fotója

Il legno di una silografia dell’edizione ceca del 1562, realizzato da Wolfgang Meyer in base ai disegni di Giorgio Liberale

A Dioszkoridész kötet, részlet az oltárképről

Pietro Andrea Mattioli: I Discorsi... nelli sei libri di Pedacio Dioscoridi Anazarbeo della materia medicinale, Velence, 1568

A Dioszkoridész kötet, részlet az oltárképről

Sono rimasti anche alcuni volumi nei quali le illustrazioni sono a colori. In questi volumi le xilografie originali in bianco e nero erano state colorate con acquarello, ed erano state pure dorate a seconda delle esigenze del committente o dell’acquirente. Per esempio, fu realizzato un volume a colori anche per il duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere

Il donatore

Il mezzobusto del committente del dipinto è un motivo che ricorre frequentemente nella pittura italiana dei secoli XVI e XVII, per esempio lo troviamo più volte nei dipinti di Jacopo Tintoretto o Paolo Veronese. Possiamo fare solo supposizioni sull’identità del donatore vestitito elegantemente di nero che figura nella tela d’altare della Chiesa Francescana di Pest.

San Demerio e il donatore,

Jacopo Tintoretto: San Demerio e il donatore, Zuan Pietro Ghisi, intorno 1545, olio su tela, San Felice, Venezia

A donátor

Il donatore, particolare della tela d’altare della Chiesa Francescana di Centro di Pest

In base al libro aperto che si trova davanti a lui, si deve trattare di un persona che era in stretto legame con la traduzione di Dioscoride ad opera di Pietro Andrea Mattioli. Il libro fu edito in più di sessanta edizioni dal tipografo veneziano Vincenzo Valgrisi (ca. 1510 – 1573), il quale – come anche egli stesso confessò – si procurò con questa commissione grande gloria e considerevoli guadagni per la sua famiglia. Non ci sarebbe da sorprendersi se Valgrisi avesse voluto esprimere la propria gratitudine commissionando una tela d’altare e chiedendo l’intercessione della Maria Vergine. Anche Christopher Plantin, il più noto tipografo di Anversa della seconda metà del XVI secolo, editore di traduzioni della Bibbia e di testi religiosi cattolici e protestanti, compare in modo simile nella pala d’altare dipinta da Antonio Vassilacchi: Plantin, nel ruolo di donatore, è inginocchiato davanti un libro da lui stesso edito.

Utolsó ítélet

Marca tipografica di Vincenzo Valgrisi editore veneziano sul frontespizio di Traduzione di Dioscoride di P. Andrea Mattioli, 1568

Anche I medici ungheresi usarono la traduzione di Dioscoride del Mattioli, come ad esempio Körös Gáspár (Fraxinus) Szegedi (prima del 1530 ̶ 1563), András Beythe (1564 – dopo il 1601) o György Purkircher (1530 ̶ 1578). Tra essi è forse János (Sambucus) Zsámboky (1531-1593) colui che – sulla base dei suoi stretti rapporti umanistici italiani e il suo ruolo nella corte imperiale di Vienna – potrebbe essere messo in relazione con la tela d’altare. (5.) Zsámboky era forse il più grande filologo ungherese, medico della Corte Imperiale a Vienna, proprietario di una delle più grandi biblioteche private dell’epoca. Possedeva due esemplari del codice di Mattioli e voleva superarlo con una nuova edizione di Dioscoride, a cui Zsámboky lavorò per quattordici anni. Nonostante Zsámboky avesse pubblicato più di cinquanta testi a stampa, la sua traduzione di Dioscoride si realizzò purtroppo solo in parte.

Zsámboky János portréja

Ritratto di János Zsámboky nel suo libro dal titolo Icones, pubblicato ad Anversa nel 1603, edito da Christopher Plantin


Il restauro del dipinto

Restauratori: Dóra Fekete, Judit Fiam, Edit Mikó, Rebeka Tiszai

Professori sovrintendenti al restauro: Katalin Görbe, András Heitler

Università Ungherese di Belle Arti, Dipartimenti di Restauro e di Storia dell’Arte

Anno Accademico 2015/2016

Lo stato del dipinto prima del restauro

Il dipinto era rimasto depositato per un lungo periodo di tempo nel solaio della Chiesa dei Francescani di Pest. Gli evidenti danni per via dei quaili all’inizio del restauro l’opera risultava quasi irriconoscibile, erano stati probabilmente causati da infiltrazioni d’acqua nel tetto. Lo spesso strato di vernice che copriva la superficie del dipinto aveva perso in vari punti la sua trasparenza ed era fortemente imbrattato. Erano rilevabili tre macchie da infiltramento di grandi dimensioni sia sul retro che sul davanti del dipinto. Soprattutto in dette parti lo stato preparatorio e lo strato di colore si erano staccati in molti punti dal supporto tessile ed erano caduti. A causa della contrazione della tela causata dall’umidità, gli strati si sono accumulati e si sono sollevati a forma di tetto. Nonostante il significativo deterioramento la tela pittorica presenta ancora un buono stato di conservazione. La nuova tela di rinforzo si era rattrappita più della tela originale, perció in vari punti si era distaccata. Questi danni sono ben visibili anche nelle fotografie con luce radente. Anche la cornice decorativa appartenente, ma non contemporanea, al dipinto, si presentava in pessimo stato di conservazione a causa delle condizioni ambientali. Che la cornice decorativa e il dipinto non fossero stati realizzati nel medesimo periodo lo dimostra il fatto che il bordo inferiore della tela è dipinto, quindi la pala d’altare era stata tagliata e poi stesa su un nuovo telaio, pertanto neanche la cornice decorativa corrisponde alla misura del telaio originale.

Lo stato del dipinto prima del restauro

Lo stato del dipinto prima del restauro

Il retro del dipinto

Il retro del dipinto

Fotografia a luce radente

Fotografia a luce radente

Fotografia a luce radente

Fotografia a luce radente

Fotografia a luce radente

Fotografia a luce radente

Indagini fototecniche

Dopo la presa in consegna del dipinto – prima dell’inizio di ogni operazione di restauro –, il primo passo è la documentazione adeguata sull’opera d’arte. Le immagini realizzate con le diverse indagini fototecniche forniscono numerose informazioni sullo stato di conservazione del dipinto, sulla tecnica di realizzazione e su eventuali precedenti interventi di riparazione.
I materiali rispondono in maniera diversa ai raggi di differenti lunghezze d’onda, così le riprese fatte ai raggi X, ad ultravioletto e ad infrarosso mostrano dettagli non visibili ad occhio nudo. Le immagini radiografiche hanno reso visibili le diverse modifiche fatte sulla mano di San Domenico e sul portamento della testa del santo medico. Anche l’intera figura della Madonna era stata soggetta a diversi mutamenti. Le indagini scientifico-naturali hanno dimostrato che queste modifiche erano state opera dell’autore stesso. Invece la figura del donatore in basso a destra del dipinto era stata ricoperta nel tempo con uno spesso strato di colore, il che fa pensare a modifiche posteriori.

Indagini scientifiche

Dopo gli studi fototecnici e in base ai loro risultati viene in ogni caso il turno delle indagini scientifiche. Il campionamento per eseguire sezioni stratigrafiche si indirizza dapprima sui colori principali e sulle zone problematiche. I campioni eseguiti mostrano la sezione completa degli strati della pellicola pittorica. Queste indagini permettono di documentare le caratteristiche e anche il numero degli strati del dipinto (lo strato preparatorio, lo strato pittorico e la vernciatura). Una questione essenziale è come questi strati si relazionino tra di loro: se si mescolino, o se invece si distinguano profondamente l’uno dall’altro. Se sono interdipendenti vuol dire che gli strati furono applicati l’uno sull’altro in un breve periodo di tempo, se invece si stacano tra loro e si può notare tra essi dello sporco, significa che il secondo intervento è avvenuto più tardi. Ma nel caso che la soprastante stesura di colore non sia autografa, gli strati sono ben distinguibili e spesse volte è presente tra essi anche uno strato di contaminazione. Queste osservazioni determinano in maniera decisa le fasi del restauro, in quanto il restauratore può asportare le sovrapitture effettuate a posteriori da mano diversa da quella del pittore, spesso danneggiate, distaccate, e dal cattivo effetto visivo, mentre deve invece conservare gli strati originali. Lo scopo delle indagini era anche quello di stabilire la datazione della pittura. Le analisi al microscopio delle particelle di pigmenti hanno avvalorato la presenza dei colori storici. Allo stesso tempo questi risultati non smentiscono la data riportata su un lato della tela di rifodero.

L’immagine della lastra radiografica mostra i significativi ripensamenti della figura della Madonna operati dal pittore. I contorni bianchi indicano la versione attuale, mentre quelli rossi sottolineano la versione originale.

Prima della pulitura le radiografie hanno reso possibile di scoprire una figura in basso a destra, interamente coperta da uno strato scuro di colore. Questo uomo ritratto a mezzo busto è il committente della pittura.

Viaggi all’estero

Per chiarire l’attribuzione del quadro era importante confrontare il dipinto ritrovato a Budapest con lavori autografi di Jacopo Palma il Giovane. Nel novembre 2015 i quattro studenti hanno effettuato un viaggio a Venezia sotto la guida della professoressa e storico dell’arte, Dott.ssa Ildikó Fehér, al fine di studiare i dipinti di Palma il Giovane nelle numerose chiese della città.

Le osservazioni fatte durante il viaggio di studi hanno confermato che dal punto di vista stilistico l’attribuzione a Jacopo Palma è assolutamente inaccettabile, nonostante che il quadro sia un tipico dipinto cinquecentesco dell’Italia settentrionale.

Oltre al restauro, era il loro compito presentare il dipinto nei diversi convegni scientifici. Hanno partecipato al Terzo Convegno Internazionale degli Studenti di Restauro organizzato a Cracovia (Polonia). Il titolo del loro contributo in inglese era : La Trinità con i Santi: le ricerche scientifiche e il restauro di un dipinto cinquecentesco italiano attribuito in precedenza a Jacopo Palma il Giovane. Durante i tre giorni del convegno hanno ascoltato le relazioni di circa sessanta studenti e hanno avuto così la possibilità di conoscere i lavori di restauro in corso nelle Istituzioni di altri Paesi e di scambiare le opinioni con studenti di varie nazioni in merito al lavoro da noi effettuato.

Hanno partecipato anche ad un convegno a Cambridge con un poster in lingua inglese sulle ricerche e sul restauro del dipinto, presentato a cura di Dóra Fekete. Il tema di questo convegno era la formazione dei restauratori e l’inserimento delle indagini scientifiche nel processo di formazione. I professori e gli studenti delle nazioni partecipanti hanno mostrato interesse verso il dipinto, esprimendo apprezzamento per questo lavoro.

Andamento del restauro del dipinto

Come primo passo bisognava stabilizzare la stesura pittorica profondamente conchigliata e cadente. La dispersione acrilica acquosa la cui flessibilità è capace di assicurare a lungo l’adeguata aderenza tra gli strati e la tela poteva essere iniettata con siringhe sotto gli strati distaccati. La stiratura e la pressione sotto peso degli strati incollati ha portato ad un ulteriore spianamento della superficie deformata. Prima di staccare il quadro dal telaio la superficie ha ricevuto uno strato protettivo di carta vetex che ha reso possibile la rimozione della tela di rinforzo e dello strato colloso. Sulla tela originale non era visibile né l’iscrizione Jacopo Palma, né la data. Ciò è conservato nella tela di rinforyo come documento. Lo spianamento delle ondulazioni della tela è stato eseguito con un leggero inumidimento e con una pressione graduale. In seguito la tela è stata impregnata dal lato posteriore con un adesivo solvente che è stato attivato con un trattamento di stiratura su tavolo sottovuoto. Si è riusciti a far gonfiare la verniciatura notevolmente imbrunita tramite un metodo di impacco con mescolanza di alcool, acetone e cellosolve ma per togliere la ripittura è stato necessario usare un solvente contenente dimetilformammide e diclorometano e inoltre adoperare anche una rimozione meccanica. Grayie ai solventi si sono ammorbidite anche le vecchie stuccature. La rimozione totale di esse non era necessaria ad ogni costo grazie al loro buono stato di conservazione. Dopo l’incollatura dei bordi laterali il dipinto è stato applicato su un telaio nuovo e moderno.

Pulitura del retro della tela

Pulitura del retro della tela

Rimozione della vecchia vernice

Rimozione della vecchia vernice

Rimozione della vecchia vernice

Rimozione della vecchia vernice

Rimozione della vecchia vernice

Rimozione della vecchia vernice

Rimozione della vecchia vernice

Rimozione della vecchia vernice

Pulitura

Pulitura

Pulitura

Pulitura

Pulitura

Pulitura

Pulitura

Pulitura

Reintegrazione estetica
Reintegrazione estetica

Reintegrazione estetica

Lo stato del dipinto dopo il restauro

I danni del dipinto di grandi dimensioni erano presenti su tutta la superficie, ma i problemi più significativi si presentavano soprattutto nelle parti infiltrate d’acqua. A causa dell’infiltrazione d’acqua avvenuta nel sottotetto della Chiesa dei Francescani di Budapest si era rattrappita soprattutto la tela di rinforzo, ma - per effetto dell’acqua. - si era deformata anche la tela originale. l’aderenza degli strati si era indebolita e si era anche distaccata in più punti, e a causa delle cadute si erano create innumerevoli mancanze. Questi danni fortunatamente non si estendevano agli elementi fondamentali della forma delle figure, il che ha reso possibile la reintegrazione autentica. Il livellamento della superficie pastosa delle parti mancanti è stato realizzato con lo stucco. L’imitazione della struttura della tela rustica e della pennellata è stata eseguita a pennello con lo stesso stucco diluito. L’imitazione del tipo di superficie veniva realizzata grazie alla Linel gouache. Il ritocco a colori ad olio e resine veniva eseguito sul dipinto giá laccato, intergrando cosí le superfici erose. È stata restaurata anche la cornice decorativa appartenente, ma non contemporanea, al dipinto. Dopo la mostra presente l’opera tornerà alla sua collocazione originale, nel santuario della Chiesa dei Francescani di Pest.

Prima e dopo il restauro

Prima e dopo il restauro (fotomontaggio)

Prima e dopo il restauro

Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro
Prima e dopo il restauro


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